LE RADICI DEL REGGAE

Marley e la filosofia di vita Rastafari

Come nasce la musica Reggae? Cosa significa Rastafar-I? Che eredità ci ha lasciato Bob Marley attraverso le sue “songs of freedom”?

Dalla necessità di rispondere a queste ed altre domande nasce “RASTA MARLEY, LE RADICI DEL REGGAE”, dedicato a chiunque ami Marley e il Reggae, e voglia riflettere più approfonditamente sulla cultura Rastafari. Molte persone infatti, e in tutto il mondo, conoscono almeno le canzoni più celebri di Bob Marley e associano il cantante alla musica Reggae e al movimento Rastafari. Ma cosa rappresentano al giorno d’oggi le sue “parole Rasta”? E’ possibile che possano tuttora avere un impatto tale da avvicinare chi le ascolta al culto Tafari[1]?

Rasta Marley, the Lion of Reggae

A che cosa si riferiscono queste Rasta words ? Dove sono “Zion” e “Babylon”? Chi sono “Selassiè I” e “Jah”? Che cosa vuol dire“Exodus”? E che significa “I n I”?

“Rasta Marley” è una riflessione monografica svolta attraverso la traduzione ragionata e l’analisi interpretativa dei testi di dodici canzoni del cantautore Robert Nesta Marley (6 febbraio 1945 – 11 maggio 1981), detto Bob, poeta e musicista considerato il maggior esponente del movimento spirituale Rastafari. Una “Livity (“filosofia di vita”) affermatasi particolarmente in Giamaica nella prima metà del XX secolo, e che si è poi diffusa in tutto il mondo grazie alla sua più celebre forma di realizzazione artistica: la musica Reggae.

Parlando di Reggae ci si riferisce a un genere ritmico e melodico che si è delineato nell’isola caraibica della Giamaica attorno alla metà del Novecento, come tramite simbolico tra le popolazioni locali, discendenti dagli schiavi africani costretti alla diaspora, e la patria d’origine[2]. Una musica nata dunque da sonorità devozionali e rituali di ispirazione nettamente Afro. A questa origine rimandano l’assenza nel Reggae di organico ad arco (ed originariamente addirittura a corda), l’utilizzo di ritmo 4/4 in levare, gli strumenti in prevalenza a percussione, le ampie sezioni di fiati, i cori dalle tonalità piene, le antifone.

Relativamente al credo Rastafari, ci si riferisce alla convinzione che l’uomo sia “un essere naturalmente dotato di spiritualità”, che “debba possedere qualche forma di credenza”, come affermo’ il padre del Tafarismo, il sindacalista Marcus Mosiah Garvey; che il canto sia un modo perfetto per meditare (come insegnano David e Salomone); che la Bibbia (Antico e Nuovo Testamento), insieme con il libro etiope di ispirazione biblica Kebra Nagast (letteralmente “La Gloria dei Re”), siano i Testi Sacri; e che Jah RastafarI sia Dio, sceso sulla terra con la seconda venuta del Cristo, ovvero l’Imperatore Hailè Selassiè I, il Black Messiah (“Messia nero”). Compito di ogni Rastafari è, come dice Bob in Exodus, “lasciare Babilonia e andare nella terra dei padri”, Zion[3].

Bob Marley

Sulla dottrina dell’Antico Testamento si sono radicate in Giamaica numerose influenze e leggende della tradizione africana, con particolare riferimento all’Etiopia, vista come biblica Zion, ma anche, per lungo tempo, l’unico paese indipendente dell’Africa, guidato dall’unico sovrano nero al mondo, appunto Ras Tafari Makonnen (1892-1975; da qui la parola Rastafari e i termini derivati[4]), incoronato Imperatore il 2 novembre 1930 con il titolo di Hailè Selassiè I (in amarico, “Potere della Santa Trinità”).

Avendo le truppe italiane iniziato l’occupazione dell’Abissinia (il nome dato dagli italiani alla zona Etiope) nel 1935, l’ideologia Rasta si configura sin dagli albori come una fede spirituale tesa necessariamente verso una resistenza tangibile: contro il fascismo in particolare, ma più in generale contro l’ingiustizia e la corruzione della società (associata simbolicamente al biblico regno di Babilonia). Tale impegno politico non  viene meno dopo la liberazione dell’Etiopia nel 1941, né dopo il passaggio a miglior vita del suo sovrano (27 agosto 1975). Al contrario, rafforzatosi col tempo, grazie soprattutto all’appoggio e all’eco del Reggae, arriva a trovare degno coronamento nelle celebrazioni per la conquista dell’indipendenza dello Zimbabwe (18 aprile 1980), l’ultimo Stato ancora sotto regime coloniale di tutta l’Africa: evento totalmente organizzato, e addirittura finanziato, proprio dalla “voce del Terzo Mondo”, dei sufferah e di ogni Rasta: Robert Nesta Marley[5].

Ideologia, poetica e spiritualità Rastafari sono simboleggiate dal tricolore della bandiera etiope[6]: verde, colore della terra, della natura, dell’Africa, associato alle lussureggianti foreste dell’isola di Giamaica, culla del culto Rasta; oro, colore del sole, del grano, della regalità, simbolo dello splendore della luce e dell’impero di Jah[7] Rastafari; rosso, colore del sangue, del fuoco, della passione, e della musica che nasce per non dimenticare, il Reggae, Chant down Babylon, “Canto contro Babilonia”, forma espressiva essenziale per la sopravvivenza di una tradizione culturale e di un popolo. Da questi tre colori, indissolubilmente legati nello stendardo del Leone di Giuda, inizierà il nostro viaggio nello spazio e nel tempo sulle orme del Rasta.

Rasta Marley, le radici del reggae

Attraverso dodici liriche si vedrà come la vocazione del Rasta abbia biblicamente inizio con una chiamata celestiale (Rastaman Chant) che lo condurrà prima a dichiarare guerra alle ingiustizie (War) riscoprendo le proprie origini (So much things to say), e poi, di conseguenza, a partire (Exodus) in cerca dell’amore ideale tra i popoli (One Love), lottando per la sua realizzazione (Zimbabwe) contro il sistema corrotto (Babylon System), sopravvivendo alle avversità (Survival) fino a raggiungere la Terra dei Padri (Africa Unite), patria di sentimenti divini (One Drop), nella consapevolezza che finché ci sarà vita dovrà continuare nella missione (Ride Natty Ride), e portarla a termine trasformando la redenzione in libertà (Redemption Song).

Dalla musica, alle parole, a Jah.

Zion e Babylon, Selassié e Mussolini, presente e passato, I and I… Il libro “RASTA MARLEY” vuole dunque descrivere, attraverso l’analisi musicale, una realtà sociale, spirituale e culturale le cui radici si spingono alle soglie della storia, ma sulla quale a tutt’oggi vi sono poche informazioni raccolte con chiarezza ed omogeneità: la realtà Rastafari. E intende farlo cercando di avvicinarsi al suo contenuto attraverso le parole dell’artista che più di ogni altro ha contribuito alla diffusione del messaggio Rasta, Robert Nesta Marley, o più semplicemente Bob.

Rasta Marley, Lion Selassie I

So much things to say, “Così tanto da dire”, è una delle dodici[8] canzoni analizzate dal punto di vista testuale e musicale quali fonti per la comprensione della cultura Tafari. Vogliamo aggiungere Bob Marley ai tre uomini e profeti che lui stesso indica come persone che hanno molto da insegnare in questo momento storico, ovvero Gesù Cristo, Marcus Mosiah Garvey[9] e Paul Bogle[10]. Infatti, benché la sua voce sia stata messa a tacere prematuramente (come del resto quella degli altri tre – Gesù crocifisso, Garvey incarcerato e Bogle impiccato), Robert Nesta Marley ha sempre “molto, moltissimo da dire”. Scopo del libro “Rasta Marley” è proprio avvicinarsi alle words of wisdom, songs of freedom[11] di questa guida rivoluzionaria e spirituale della musica moderna, voce di chi non ne ha mai avuta e raro ambasciatore di pace: Bob, un profeta, interprete e simbolo del nostro tempo.

Molti infatti conoscono la sua musica, ma pochi forse sanno che i suoi brani sono ispirati al messaggio biblico, e che le sue liriche Rastafari diffondono sempre contenuti di amore universale, giustizia e rivelazione, legati alle Sacre Scritture. Ad esempio, il testo di Exodus che recita “Exodus, movement of Jah people… Send us another brother Moses, going across the Red Sea”, è tratto da Esodo 15,22: “Mosè fece levare l’accampamento di Israele dal Mar Rosso ed essi avanzarono verso il deserto di Sur”. Invece “Iron like a lion in Zion” è ispirato a Isaia 31,4: “Come per la sua preda ruggisce il leone (…) così scenderà il Signore degli eserciti per combattere sul monte Sion e sulla sua collina”. Mentre Redemption song, “How long shall they kill our prophet while we stand aside and look? Some say it’s just a part of it, we’ve got to fulfill the book”, è ispirato a Matteo 23,34: “Perciò ecco, io vi mando profeti, sapienti e scribi; di questi alcuni ne ucciderete e crocifiggerete, altri ne flagellerete nelle vostre sinagoghe e li perseguirete di città in città”, e a Matteo 24,6: “Sentirete poi parlare di guerre e di rumori di guerre. Guardate di non allarmarvi; è necessario che tutto questo avvenga, ma non è ancora la fine”.

African Marley

L’avvicinamento alla Livity Rasta parte dunque da un concetto fondamentale: la consapevolezza delle ingiustizie e del dolore (si pensi al nome del gruppo di Marley, “The Wailers”, letteralmente “I Piagnoni”), unita al messaggio di riscatto vitale della fede, espressa in forma di radiosa musica Reggae. Si vedrà infatti, con l’analisi delle canzoni, quanto alle sonorità solari delle melodie corrispondano spesso testi estremamente seri, densi di sofferenza ma mai di rassegnazione, e che, anzi, esortano alla lotta per la giustizia. Canzoni come salmodie e atto di fede, appunto. Parole dure che descrivono una realtà dura, perciò semplici, comprensibili per chiunque, unite a un ritmo altrettanto essenziale, il Reggae, teso a ispirare il mondo verso come potrebbe essere: musica come positive vibration, vibrazione positiva e propositiva. Quindi Rasta, I n I, è chi sente di avere una missione da compiere nella vita: lasciare Babylon per raggiungere Zion. Chiariamo questi tre concetti cardine della filosofia Tafari.

“I n I” esprime la duplice natura del Rasta: il suo aspetto terreno e quello religioso, l’io fisico e l’Io spirituale, i lati umano e divino, l’anima che si volge in preghiera e si unisce a Dio. “Zion” simboleggia tutto ciò che è puro e vitale, ovvero I-tal (apocope di “vital“): Zion è l’Arca dell’Alleanza contenente il Decalogo, Zion è la beata Maria madre del Cristo, Zion è il Monte Sinai, Zion è l’Etiopia come Terra dei Padri e Terra Promessa. Zion è dove I n I incontra Jah, Dio Onnipotente e  Misericordioso[12], Dio come meditazione, amore e libertà, che si incarna nel suo rappresentante di natura divina, il Negus Negesti Hailè Selassiè I Qadamawi (da cui il secondo “I“), la seconda venuta del Cristo, Ras TafarI, Leone Conquistatore della Tribù di Giuda. Per questo la redenzione si identifica con il ricongiungimento alla Terra dei Padri, Zion, e al suo Imperatore, il Ras. I n I.

Bob Marley mosaic

Parlando di Arca dell’Alleanza e Monte Sinai, si accede al tema dellEsodo e al concetto di Babylon: per raggiungere la purezza di Zion si deve infatti abbandonare la corruzione di Babylon, e questo è l’Esodo. Occorre compiere la scelta consapevole di un movimento in cerca di verità e giustizia, come afferma Marcus Mosiah Garvey: “Questo è il Dio che adoro… Egli mi ha posto in questo mondo come signore sovrano perché io gestisca la mia vita come meglio desidero… Dio si occupa del destino spirituale e non del destino politico dell’uomo”.

Purtroppo la storia mostra gli errori che l’uomo ha deliberatamente commesso, incatenando il proprio simile con l’arma del razzismo e misconoscendo la fratellanza umana: la schiavitù ha obbligato alla diaspora il popolo nero, portandolo in catene da Zion, l’Africa, alle Indie Occidentali, Babylon, regno senza fede e senza libertà, dominio della corruzione. Perciò i Rasta vivono per sconfiggere la perversione di Babilonia e riedificare la madrepatria Zion, simboleggiata dal tricolore Green-Gold-Red. Senza dimenticare che, come scrive Bertolt Brecht, “il ventre è ancora gravido di mostri”[13]: non sono lontani i giorni della schiavitù esercitata dall’Europa sull’Africa, come non è lontano l’ottobre del 1935, quando le truppe di Mussolini invasero l’Etiopia avviando così sei anni di occupazione fascista. Ancora oggi, sotto gli occhi indifferenti del mondo, continua lo sfruttamento del continente e del popolo africano da parte delle maggiori potenze industriali. Proprio per questo è in atto ai nostri giorni un processo di “esodo” del tutto opposto a quello sognato da Marcus Garvey: migrazioni dall’Africa, in particolare verso l’Europa, con un numero crescente di persone che abbandonano i loro poverissimi paesi d’origine per cercare asilo e lavoro nelle città industrializzate. Tristemente, questo fenomeno di immigrazione ha dato nuovo slancio a movimenti razzisti e fascisti in tutto il continente europeo, riaprendo una pagina storica che si sperava ormai per sempre appartenente al passato.

Nelle pagine di “RASTA MARLEY, LE RADICI DEL REGGAE” vedremo come la filosofia Rasta si sia affermata in Giamaica tra gli anni Venti e Trenta del Novecento, grazie specialmente all’impegno attivista di Marcus Mosiah Garvey e al carisma dell’Imperatore d’Etiopia Hailè Selassiè I. Si vedrà poi come il credo e i valori Rastafari si siano diffusi dalle Antille in tutti i continenti a partire dalla seconda metà del secolo XX grazie alla cultura musicale che vi ha preso forma, il Reggae, e specialmente al suo indimenticato rappresentante: “the Tuff Gong[14], Robert Nesta Marley.

Bob Marley

[1] Ovvero: possono le parole di un giovane chitarrista nero di una piccola isola centroamericana aprire alle generazioni future di tutto il mondo le porte della mistica garveita, nella convinzione che l’Imperatore d’Etiopia Hailè Selassiè I sia la seconda venuta del Cristo? (Salmi 68,31: “L’Etiopia innalza le sue mani verso Dio”). Le numerose citazioni bibliche presenti nel testo da qui in avanti sono state tratte dall’edizione ufficiale CEI, 1996.

[2] Isola piccola e scarsamente popolosa, ma per oltre quattro secoli, dal XVI al XIX, centro nodale del triangolo schiavile Europa-Africa-America. Data la sua posizione intermedia tra le coste nord e sud delle Americhe, la Giamaica è stata uno dei porti più importanti al mondo per la tratta degli schiavi. Attualmente quasi il 95% della sua popolazione è di colore; sul suo territorio si contano meno di tre milioni di abitanti, ma, significativamente, oltre due milioni di Giamaicani vivono all’estero.

[3] Ovvero Sion, o il Monte Sinai, o in generale l’Etiopia, la Terra Promessa.

Rasta Marley

[4] Dall’Amarico Ras, “Capo”, e Tafari, “Senza Paura”. Il movimento Rastafariano può dunque essere chiamato “Rastafarianesimo”, “Rastafarismo”, “Rastafar-I” o abbreviato in “Tafarismo”, così come per riferirsi ai fedeli si può utilizzare il termine “Rasta”, oppure “Tafari” o “Dread”.

[5] Marley ha sempre considerato la propria carriera musicale come una missione mistico-profetica inevitabilmente unita a battaglie umane e sociali, particolarmente per cause panafricaniste. Come afferma il suo più autorevole biografo: “Accade talvolta nella Storia, che certe figure emergano da culture stagnanti, disperate o disgregate per riprendere simboli e credenze antichi, ed investirli di nuovi significati. …E tale presa di coscienza può essere seguita dalla pubblica dichiarazione di considerarsi null’altro che lo strumento di una nuova fonte di conoscenza, di una nuova direzione e di un nuovo ordine” (T. White, Bob Marley: Una vita di fuoco).

[6] Per i Rasta il numero tre è importante non solo in riferimento alla Santa Trinità, ma anche perché ritengono che esistano tre enti: l’Io spirituale (I and I), il Bene (Zion) ed il Male (Babylon). Tre sono anche i punti di riferimento per Rastafari ortodossi, ovvero Bobo Ashanti: Selassiè I, Marcus Mosiah Garvey, Prince Emanuel (rispettivamente il Messia, il Profeta, il Sacerdote).

[7] Contrazione dell’ebraico Jeovah o Jahvè, due degli appellativi con cui Dio è invocato nella Bibbia. Il nome Jah riecheggia anche la figura simbolica del Re dell’Africa Occidentale Ja Ja di Opobo, esiliato nei Caraibi nel 1887 a seguito del Congresso di Berlino (1885).

[8] Dodici è un numero fortemente simbolico. Secondo l’Antico Testamento il popolo giudeo, dopo la liberazione dalla schiavitù egizia, fu condotto da Mosè nella “terra promessa”, la terra dei padri, sulle sponde del Giordano.  Qui si stabilizzò in dodici regioni, da cui originarono le dodici tribù di Israele. Da nord verso sud: Dan, Neftali, Asher, Zabulon, Issacar, Manasse, Gad, Efraim, Beniamino, Dam, Ruben, Giuda e Simeone. Dalla tribù di Giuda, figlio di Giacobbe e Lia, discendono David e Salomone, dunque anche Gesù e Selassiè I, secondo la tradizione Rasta. Hailè Selassiè I Geramawi Qedamawi Moa Anbessa ha perciò tra i suoi appellativi anche quello di Leone Conquistatore della Tribù di Giuda.

Libro "Rasta Marley, le radici del reggae"

[9] Sindacalista giamaicano (1887-1940), fondatore nel 1914 della prima associazione per i diritti dei Neri nel mondo, la “Unia”, nonché del periodico “Negro World” e della compagnia navale Black Star Line.

[10] Predicatore (1815?-1865), leader nel 1865 della più significativa rivolta nelle piantagioni giamaicane.

[11] “Parole di saggezza” (da una delle prime canzoni esplicitamente Tafariste dell’autore, Corner Stone, 1970), e “canzoni di libertà” (da una delle ultime, Redemption Song, 1980).

[12] Che i credenti chiamano anche “the Most High”, “l’Altissimo”, con un gioco di omofonia tra High e I.

[13] B. Brecht, La resistibile ascesa di Arturo Ui, Einaudi, Torino, 1963.

[14] Questo soprannome allude sia ai combattimenti di strada (letteralmente “pugno duro”), sia al gong suonato nei battesimi Tafari per segnare l’ingresso del neofita nella comunità Rasta.

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Una Risposta

  1. ONE LOVE! Give thanks and praises all the time to Jah RastafarI

    8 aprile 2011 alle 21:58

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